
Ultimamente, per bisogno di essere contrariato, esco dal guscio dei capolavori disseminati nella storia delle lettere, o di quello dell'ontologia fondamentale, per gettarmi a capofitto in libri contemporanei, che termino di leggere nel giro di poco tempo (contro le calende greche dei capolavori). Cosi, mentre Aristotele, Flaubert, Leibniz e Joyce restano ad accumulare polvere maestosa spostati tra comodino, scrivania e scaffale, col segnalibro fisso verso metà – finisco per leggere saggi del tipo di
Innamoramento e amore di Francesco Alberoni.
Lo faccio innanzitutto per capire come si fanno a mantenere simili posizioni leggere, e scriverci pure. L'atto di scrittura penso debba sempre evitare il banale, il “si sa”, eccetto nella pubblicistica o nella politica (la denuncia politica e l'inchiesta dovrebbero non ricadere in questo campo). La scrittura non deve mai accontentarsi di se stessa, non deve mai limitarsi ad esporre cose già dette o di buon senso, ma cercare di centellinare il vero che c'è in esso attraverso un inedito ad esser immanente. La letteratura non dovrebbe apprendere nulla, se per apprendere si considera la lezione
ex cathedra, l'inculcare, la dissimmetria. E come scrivere se non si è convinti di qualcosa, e perché farlo altrimenti? Come fare perché il corso della penna non si arresti su particolari irrilevanti, aneddoti, dettagli biografici, amenità? L'anodino è il nemico della scrittura, sottrazione del tempo al lettore e mancata auto-analisi dello scrittore.
“l'innamoramento, invece, pur essendo un movimento collettivo, si costituisce tra due persone sole; il suo orizzonte di appartenenza, qualunque valore universale possa sprigionare, è vincolato al fatto di essere completo con due sole persone”
Il libro di Alberoni, datato 1979 ma che compare quest'anno in edizione aggiornata, parte da una posizione interessante: l'innamoramento è lo stato nascente di un movimento collettivo a due; l'amore è la prosecuzione dell'innamoramento sul piano dell'istituzionalizzazione di tale rapporto, il combattere le difficoltà a due. Come si sa, dopo anni di diffamazione del concetto di "amore" (durante il '68), nonché dopo la psicoanalisi, che riduceva l'innamoramento ad una pulsione sessuale e l'amore a un sentimento di repressione della sessualità stessa, Alberoni si propone di esaminarlo come semplice
movimento collettivo. Questo originale punto di vista ha fatto sì che continuassi nella lettura; la mia scarsa conoscenza nel campo dei “movimenti collettivi” e della sociologia, oltreché la pretesa tabula rasa delle posizioni idealiste-romantiche, scavalcando il suolo comune e le definizioni ideologizzanti dell'amore veicolate da Hollywood, mi hanno permesso di continuare nella lettura. Se non vi è una mossa di base in sé originale, nessun testo vale la lettura.
L'innamoramento fa parte del campo dello straordinario. Seguendo una divisione intuitiva, Alberoni lo distingue dall'infatuazione erotica: l'innamoramento comporta una reiscrizione dell'amante, che non è abbandono nell'amato, ma piuttosto costruzione di un nuovo orizzonte semantico con l'amato. L'amore non può quindi essere che monogamo. Non può avere più persone come oggetto, come non si possono seguire più capi allo stesso momento (tale è l'accoppiamento di Alberoni: amore-rivoluzione). Senza quest'atto di perdizione-acquisto del senso complessivo della vita dell'amante (gli esempi sono
La Divina Commedia, il
Canzoniere,
I Dolori di Werther, Abelardo e Eloisa), non vi è alcuna speranza di considerarsi innamorati.
“Entrambi gli individui si sentono attraversati da forze straordinarie, sentono di poter finalmente realizzare i loro desideri più profondi, il mondo diventa luminoso, tutto appare possibile, l'altra persona ci appare come la strada, l'unica strada per raggiungere il luogo in cui il dovere coincide con il piacere”
In Alberoni, come nella cultura corrente, l'innamoramento è visto come il “veramente” di ogni rapporto umano, il massimo attingibile, e ciò che ci è di più proprio, che ci distingue dagli animali. A buon diritto dunque non solo, come nella psicoanalisi, l'uomo si distingue dagli animali per la pulsione sessuale costante, quanto per il volere che questa sessualità sia straordinaria. Nei primi due capitoli Alberoni pensa che ogni uomo voglia questa sessualità straordinaria, che è di fatto quella che si ha solo quando si è innamorati (sicuramente la sessualità è più nella testa che nei genitali, ma perché solo con l'innamoramento si ha la sessualità straordinaria?). Come si vedrà, il lessico si basa su pretese evidenze empiriche, che invece possono non risultare affatto chiare (ecco perché o il pensiero è fondamentale e, direi, “concreto”, o non è). Questo chiude il libro nel cerchio di lettori disposti ad ammettere i postulati di partenza: l'innamoramento è meglio, l'innamoramento è inevitabilmente il massimo raggiungibile da un uomo nel movimento collettivo con la donna.
Interessante notare come nel saggio si crei la seguente sfumatura: che ci voglia una predisposizione all'amore: l'amore non può manifestarsi sempre, e se una persona è a suo agio con la vita, l'innamoramento difficilmente riuscirà a subentrare. Più facile dunque quando si necessita una messa in gioco di sé, o tra due persone che lo vogliono. Romeo e Giulietta covavano interiormente il loro sentimento: tutte le condizioni esterne erano loro contrarie. Tramite questo atto stabilivano un mondo diverso, un mondo che apparteneva loro.
Il passaggio all'amore si fa con il subentrare della durata, del progetto, della sincerità, del volere combattere le difficoltà, “le onde del mare”, a due, come si lotta insieme in un qualunque altro movimento collettivo, pena lo smembramento.
L'amore conserva la sua struttura identica anche per un figlio, per una persona che non ci ama, o che è già morta (come Beatrice per Dante). L'importante è l'elevazione della sensibilità... Alberoni dice che l'amore apre i sentimenti, eleva alla poesia anche una persona che è sprovvista di particolari doti di lettura e scrittura.
Due ultime "chicche" d'un certo rilievo:
l'amore sfuggente è quello più interessante? Sì, come innamoramento, ma non come amore, che richiede pianificazione, progetto.
Quando si pensa ad altri partner durante un rapporto sessuale con l'amato, significa questo che non si tratta di amore? Assolutamente no: anzi, lo si fa per esorcizzarli e per far si' che l'amato solo si trovi lì con noi, alla fine, unico. Lo si fa per rassicurarsi sull'amato, per trasferir su lui il senso dei nostri ex, e i nostri pensieri.
Ma allora, nel caso si faccia l'amore con una persona di cui non ci importa nulla, a si pensa alla persona che ci piace di più, cosa accade?
A questa, e ad altre domande, il breve saggio di Alberoni
non può rispondere. 180 pagine, troppo “ariose". Soprattutto, l'argomentazione è quella dei “reculons”, tipica della retorica dell'amore: si sposta sempre l'asse dell'amore, il vero è sempre quello più radicale. In tal modo, tuttavia, il fenomeno dell'amore non accade sempre, o anche: non accade. La psicoanalisi e la filosofia volevano infatti, smontando l'amore come privilegio, soprattutto uno slancio-verso: da qui la pulsione, il desiderio, o anche la conoscenza (Platone). L'amore di cui parla Alberoni non sarebbe che un sentimento particolare d'un "voler bene" più diffuso e generico. E' piuttosto, come nel senso comune così propria del giudicare altrui, sempre pronto a smontare i sentimenti e le persone, la gerarchizzazione a permettere, a livello ideologico, di spostare sempre al di là l'amore, dando condizioni che è difficile mettere alla prova in concreto, per non dire impossibile. In fondo, se non andava, non era amore. Come dire: se non lo si può riconoscere, non è amore. L'adagio è quello solito: si deve essere innamorati dell'amore per innamorarsi. Le possibilità del movimento collettivo a due sono dunque bloccate in maniera reazionaria o, al peggio, naturalizzate a un sentimento
surplombant il movimento collettivo stesso nonché i soggetti agenti.