
“Che non si possa fare tutto” significa nella costruzione di un sistema teoretico (non diversamente dunque a quanto succede nella vita di tutti i giorni – bastano pochi ragguagli, alcuni termini cambiati: “die Ganzes” di cui parla Schelling non dev'essere però appannaggio solo della filosofia, ma è un'esperienza che deve sempre accadere): non si possono comprendere dei concetti e renderli chiari allo stesso tempo; non solo perché ci sono dei concetti operativi, e come dice Fink, è il medesimo di quanto accade nella s-velatezza del vero. Il fatto forse più essenziale è che non si può riprendere tutto quanto è corso nella tradizione che è poi la carne viva del significato delle parole. Non si può pretendere rispondere a tutte le questioni in un sistema, perché il sistema deve, in quanto tale, necessariamente rifondare da zero e dunque certi concetti o filosofemi devono semplicemente svanire. Se si riflette sulla rifiuto (o sulla resistenza), per esempio, si deve forse considerare come inutile le sforzo di spiegare come essa può essere costruttiva. Le coppie di concetti opposti devono saltare come deve farlo l'antinomia stessa. Parlare di costruzione dovrebbe equivalere a rispiegare essenzialmente cosa è “costruzione”. Questo è per l'appunto il compito di un sistema, che non è solo un aggregato organizzato di concetti in grado di rendere conto del tutto (Ganzes) del reale, ma la riformulazione del reale su base sistematiche. Dunque il sistema deve rispiegarsi come tale rispetto alla sua riformulazione del reale ex novo. Si può dunque concepire che, riscrivendo il concetto di rifiuto, si possa fare a meno di considerare l'elemento propositivo o costruttivo del reale. Questo è ciò che certi filosofi tentano e sono spesso accusati di violenza o di non rispondere a domande concrete.
In realtà non c'è nulla di concreto al di là del sistema (idealisticamente inteso), perché il sistema stesso svela la concretezza come un'illusione se pensata fuori dal concetto di totalità creata. La costruzione di un mondo migliore non ha dunque senso se, forse, il concetto di resistenza o rifiuto viene in aiuto per una riformulazione del reale. Voler costruire qualcosa, dal punto di vista del sistema, non significherebbe altro che voler esser fuori dal sistema e dunque auto-contraddirsi.
Ma la resistenza costruisce? Interrogando i concetti, può un sistema negare l'ovvio (un progetto politico, una casa che si sta ultimando dopo mesi di lavori...). Pensiamo di no, pensiamo che si il sistema si completa, non ha bisogno di spiegare il concetto di costruzione. Ma deve aver posto all'interno di esso il possibile per spiegare l'impossibilità di una costruzione in senso corrente.
Poi, va da sé, il sistema è anch'esso una pratica umana (come ogni costrutto umano); deve rendere conto a se stesso, ma non può farlo che rispetto a questo non-senso che esso esclude ma che ritornerà necessariamente ad acciuffarlo appena il sistema dovrà confrontarsi, nella mente dell'autore, del lettore ma anche nella vita propria delle parole, a ciò che è il suo riferimento costante, e cioè la tradizione del vocabolario e la stolida realtà cieca la quale ogni giorno ci arreda la nostra mediocrità del bisogno di esteriorità e spossa il nostro tentativo di assoluta completezza ributtandoci nell'inferno delle nostre ricerche di senso.
Due dimostrazioni eteroclite su tutte:
- Idioterne di Lars Von Trier, in cui il gioco a fare i cretini, gli handicappati, si trasforma alla fine in qualcosa in cui credere, in cui fare fede, atto di professione al momento opportuno: il rifiuto si trasforma in etica che tuttavia non esprime altro che ancora il rifiuto stesso a costruire, anche quando si è soli di fronte a tutti e gli altri hanno abbandonato;
- Le notti bianche di Fëdor Dostoëvskij, in cui il sognatore adolescente, non ha alcun bisogno di rapportarsi realmente alla ragazza che ha di fronte e che è innamorata di un altro. Egli ne diventa anzi, peggio, il confidente, la spalla, la vera schöne Seele schilleriana che resta parossisticamente bella anima oltre più che anima bella. La sua confessione d'amore è in realtà poco più che una boutade, non è un reale confronto con lei o un gesto d'amore, ma il modo per liberarsene e ritornare mestamente in una vita trasognata nella tristezza propria a colui che pur nell'incapacità di amare, nel bisogno di farlo e nella voglia di compierlo, preferisce un "malgrado" all'abisso del rapporto radicalmente esterno. Il letto e la finestra sono cosi' gli strumenti per darsi, come i poli dialettici in un sistema, la comprensione calcolata delle difficoltà di rimanere in sé - ma tuttavia, anche senza compensazione, una via di fuga dal sistema stesso restando ostinatamente in casa.
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