
Presentivo ciò praticamente da quando ho una coscienza abbastanza articolata da poter capire che qualcosa intorno al mio corpo esiste e sarà per sempre diverso da me. Pensavo, un tempo, che bastasse muoversi, che le esperienze erano una brocca che riempiva la mia tazza col latte di una nuova mattina.
Mi sbagliavo, visto che, se ho ottenuto qualcosa, quello che trovo ora non serve neanche a rispondere alle domande che ricordo vagamente parte de quello stesso passato – anche se forse a quel tempo mi sembrava avessero risposte, da qualche parte, pur non possedendole: bastava cercarle, ricercarle, fare delle ricerche, fare ricerca.
Viaggiare era aprire la finestra in una stanza otturata dall'aria viziata.
Ora sento che tira una corrente fresca tra quattro pareti squallide di un ostello del Bronx d'Italia che è Mestre; dopo qualche ora passata a rimuginare i malori, sento schiudere gli alveoli polmonari, ossigeno atto a depurare il mio sangue denso.
Ora è l'aria di fuori a essere stantia.
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