
Il Barcellona di Guardiola (l'allenatore che, stanco e perfino demotivato dopo tanti trionfi con la squadra di calcio più forte di tutti di tempi, ha rinunciato venerdì scorso a rinnovare il suo contratto con il club) ha rappresentato più di un'esperienza calcistica: ridefinendo il gioco del calcio, esso ridefinisce anche il calcio come più di un gioco, come un'esperienza di pensiero tanto nella tattica quanto nell'azione - questo in quanto il pensiero si fa una pratica agonistica e creativa, e non una complicazione dogmatica e complessa.
Il gioco del Barcellona è infatti costituito da un estenuante possesso palla e da un aggressivo pressing offensivo. Il Barcellona non punta sulle capacità atleta, ma su quelle del pallone (senza di cui non c'è il calcio), che può spingersi sempre ad una velocità superiore a quella del giocatore. Che "il nostro centravanti è lo spazio creato dal gioco", significa che, tramite il possesso palla, chiunque può assumere il ruolo di centravanti, se servito a dovere nello spazio creatosi dall'incessante "torello" a ridosso dell'area di rigore. La sfida di Guardiola è quella di portare in campo praticamente solo "centrocampisti", vale a dire i giocatori atti a controllare meglio il pallone, senza attaccanti né difensori, Messi eccettuando. Con una simile direzione, al primo violino non resta altro che agire a suo modo nello spazio, e solo dopo aver partecipato della creazione del gioco. Il genio prende su di sé la squadra al momento in cui un assolo è assecondato: non si tratta quindi di smussare una serie di primi della classe, ma di farli ugualmente partecipare al genio assoluto di uno solo. Infatti, il Barcellona in campo sembra meno un'orchestra che un segreto organismo vivente al microscopio, cui le cellule si muovano all'unisono, creativamente e imprevedibilmente, verso un unico fine. La cantera, il vivaio catalano, non è dunque un luogo in cui far crescere talenti, ma una filosofia di approccio agonistico in quanto ripetizione differita di quanto appreso. La dimensione sportiva può dunque ritrovare facilmente la mentalità sana dalla quale è nata, poiché prosegue il principio di creazione del proprio approccio, piuttosto che demolire quello dell'altro (che ne risulta da sé distrutto). Il calcio si approssima alla corsa o al nuoto, in cui il contatto si minimizza e la sfida diventa una questione di punti.
E' per questo che le sconfitte del Barcellona sono così difficili da capire e da sopportare. Perché sono ingiuste, l'avversario essendo stato schiacciato; ma anche perfette, perché quest'ultimo ha saputo concretizzare le rarissime occasioni (come contro il Real Madrid e il Chelsea negli ultimi giorni) come fosse un gioco ancora più semplice di quello catalano.
Per aver ridefinito non le regole del calcio, ma il concetto stesso di calcio come "gioco", e averlo reso un'esperienza di pensiero tanto nella tattica quanto nell'azione (la squadra deve pensare più rapidamente, avere pazienza, accelerare d'improvviso e difendere appena la palla è perduta), Guardiola ha rinunciato a portare avanti la sua direzione tecnica: richiedendo essa una sovra-motivazione, un sovra-desiderio, al fine da diffonderlo alla squadra che per il suo gioco essenziale e creativo ha bisogno di incentivi più ampi che quelli del goal.
No comments:
Post a Comment