Mi trovo in questi giorni in un certo tipo di crisi, che ripete privatamente aggravandola quella che piomba sulla storia collettiva. Mi trovo a dover verificare il senso degli ultimi anni attraverso un concetto - o meglio, lo svuotamento del concetto dal concettuale nella nudità d'un trascendantal-empirico. Non c'è bisogno di capire il senso della frase precedente - non c'è bisogno di capire quanto la mia vita, scavando fino al fluire la mia quotidianità, si addossi il pensiero con una disperazione così grande da prepararlo all'evento di ciò che esso non può afferrare (con-cipere)- e perché non ne venga fuori con la solita carica di retorica dell'alterità radicale: ne ponga anzi le basi per una pratica concreta d'esperienza.
In questi momenti in cui scelgo di legarmi il non-filosofico fino alla relazione interna col pensiero in queste unità elementari che chiamo sentimenti, ma forse avrei dovuto chiamare inquietudini (o disquietudes), le immagini della mia vita si spandono di fronte al mio tavolo da lavoro. Al vertice di questa ansia, come nell'istante del trapasso (si dice), vivo il culminare di un percorso, il dare un senso complessivo ad una singola illuminazione la quale, al momento di spegnersi subitamente, riscopre il senso di tanti momenti che avevano causato quello stridume, quel negativo che mi ha poi permesso di arrivare alla disperazione creatrice, solitaria e burbera.
In un altrove ho avvertito più che sentito e ascoltato questa canzone, insolita a dire il vero per le mie orecchie. Ecco qui il testo, sopra un video emblematico più che altro, e poi la musica del video.
C'è in queste parole una specie di lirismo, un lirismo sociale, aggravato se esse sono ascoltate a partire della mia squallida vita teorica e microcosmica, e dallo sguardo da etologo che ho verso il "mondo" delle discoteche. Parlo della mia propria vita, privata, stupida quasi certamente, collocata nei miei poveri limiti di pantofole e capelli. C'è qualcosa di terribile in questa "bella gente" che si diverte, e il lirismo sfocerebbe quasi nel sublime, un sublime sociale, in cui la paura di ricadere nella commercializzazione di individui, ideologie e messaggi non è spoglia, in un atteggiamento sostanzialmente contemplativo (o in un ballo d'ascolto piuttosto che di divertimento), d'una subitanea contro-reazione capace di coglierne il lato non pericoloso, il lato che fa pensare che si tratta pur sempre d'un prodotto dello spirito e che magari si è distaccato inconsciamente dalle intenzioni autoriali di divertire e vendere. Mi mortifica anche solo utilizzare quel gergo e farne parte anche solo descrivere ciò che osservo. Mi scaraventa in quel mondo e mi dilania del mio tempo passato in posti simili, di cui questa dovrebbe rappresentare, veicolare i "valori", nel senso di ciò che vale di quei posti. Piscina, sole, bibite, "fighe", musica, ballo, esibizione... stramazzo a terra solo a isolare questi vocaboli e mi sento soffocare da così tanta violenza ideologica dietro questi oggetti, persone o eventi, che vorrei davvero finirla lì.
Eppure, sarebbe una creazione concettuale peggiore che tutti i valori veicolati non guardare la testualità di questo prodotto, e non pensarlo come tale né ripiombare nel me in questi posti. Riattivare piuttosto la storia della mia idiosincrasia ad esso e delle mie ragioni contro di esso all'ombra di questo video, musica parole.
Come ogni prodotto, anche in quelli dell'industria culturale sopravvive un pertugio individualizzante in cui ci si può collocare: un negativo agente, una catarsi paradossale nella meschinità talmente profonda che essa non riesce più a controllarsi e sfocia in forme di disassoggettaemento rinnovato. E' arduo ammetterlo per me, ma il lirismo, si acutizza ove non si acutizza vicino agli umili (come in Saba, "Città vecchia"), ma vicino agli abbienti (o appariscenti tali), e addirittura negli arroganti. Il testo del brano non ha nessuna pretesa; eppure, narrando di una serata di sballo insensato condotta nella mancanza - per poi sentirsi vivo in un'esperienza così stralunata! - in equilibrio col banale come non mai (da salvare quasi, chiede la grossièreté di questo testo paradossalmente), con questa melodia vagamente triste e sul punto da essere looppata, sottratta al senso e alla voce per diventare musica, ripetizione, ecco è proprio in quel momento che si converte in un rito commercializzato, sì, posso immaginarmi come se fossi vivo nella più deleteria finzione massificata.
Nothing's in the photograph Nulla appare nella fotografia
I got lights in the way A parte delle luci nella via you’re gone and out of mind, and I Sei andato via dai miei pensieri, e io
Wish you would stay Avrei voluto che ci rimanessi
Falling out of my head Rovesciandoti via dal mio capo
I got a twisted sense of time Sai, ho uno strano senso del tempo
Feels like I’m turning red Lo si prova come se arrossissi
Feel so alive Mi sento così vivo
Feel so alive Mi sento così vivo
Alive Vivo.
(traduzioni mie)
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