Saturday, January 16, 2010

Fenomenologia (sommaria) della solitudine


In una cappa d'insonnia, ritorni avviliti di vaghe cose amene: eventi desueti e decadenti come sul rango delle cose molli, topaie di inezie in cui non di certo l'ottimismo – o il suo alleato, il carisma – saprà mai gironzolare in cerca di se stesso. Un'allegria pigra tiene colpo sulla stanchezza genuina che porta sonno – la tranquillità dell'incoscienza, che deduce che gli incubi peggiori e le fantasie più morbose non siano frutto che di questa perversione logica che è l'inconscio stesso e le sue cesure.
Eppure, nei momenti in cui sembra che pesanti stalattiti pendenti dal soffitto mi costringano in questa supinazione – perché l'insonne non riesce a non pensare ad altro che a dormire, allorché prenderebbe sonno più facilmente facendo altro, o comunque impiegherebbe meglio il suo tempo?
Ciò che potrebbe farmi cadere giù è un'ombra che già intravedo, qui nel buio più totale. È la lucida proiezione di me stesso prigioniera, per queste lunghe mezzore, dei problemi più insipidi, delle sollecitudini più terra-terra, dei motivetti musicali più che banali che, seppur meno ascoltati, sono penetrati qualche parte in me e che ora riescono distorcendomi l'immagine. Dicono che si stia insonni per preoccupazioni gravi. La mia insonnia è dettata dalla gravità della leggerezza, dall'ignoranza che come un folletto viene a turbare i miei sogni e, svelando le lacune delle mie letture, si vaporizza in una nuvola dai contorni irregolari e implacabili. Dicerie, cura dei dettagli insignificanti, motti di spirito, ma anche il lato più grottesco della mia personalità, tanto delle mie scelte quanto delle mie goffaggini quotidiane e infine della semplicità caricaturale dei miei pensieri. È il peso della morte che si fa sentire ancora: di sparire in questo insensato, in questo accenno della mia natura che è di disfare le reti costruite il giorno – a permetter il dominio della mia esistenza dalla prassi quotidiana e in fondo alla giusta semplicità della vita mia che si basa su pochi e comuni pilastri. Qualche attività sempre pronta a sbiadire; il resto sono solo persone a cui tengo, mortali come me o forse più di me.
Ma cos'è allora importante nella vita?, cosa potrebbe scacciar via tali negletti pensieri? Darei una settimana di insonnia per trovare anche solo un'allucinazione a cui possa chiedere, come MacBeth alle sue streghe: “though the treasure of nature's germens tumble all together event till destruction sicken – answer me what I ask you”, “torni infine in polvere il tesoro germinale della natura, sì che il caos stesso ne sia stomacato. Ma rispondete alle mie domande”. Cosa potrebbe ora evitare il tracollo totale del giorno seguente, che verrà così fortemente caratterizzato da questa mattina notturna che si carica solo di chiacchiere interne e sprovviste di bellezza, ora, al momento del levar del sole? E perché penso che ciò che mi preoccupa di più è proprio ciò che va da sé, questa specie di monologo introspettivo interrotto – o forse il fatto che non dice che banalità, nello psittacismo di radi eventi anodini? Cosa conta nella vita, allora?, mi chiedo non ritrovando nulla in me che possa riempirne il senso. L'impeto semi-divino del giorno si sfalda di notte, di fronte a tale quesito e al corpo che mi alimenta ancora di energie, riscontrandosi incerto di fronte ad occhi che non vedono che la loro stessa penuria, la pura agitazione che rimugina di un'esistenza trascorsa senza poter guardare ciò che mi stratifica in mensole piene di cianfrusaglie, sole.

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Sappho

Sappho
"Morremo. Il velo indegno a terra sparto,/ rifuggirá l’ignudo animo a Dite, / e il crudo fallo emenderá del cieco / dispensator de’ casi. E tu, cui lungo / amore indarno, e lunga fede, / e vano d’implacato desio furor mi strinse,/ vivi felice, se felice in terra / visse nato mortal" (G. Leopardi, Ultimo Canto di Saffo)

Sehnsucht

Sehnsucht
Berlinale 2006