Monday, January 19, 2009

John Fante and his father, me and my father.


I've never been able to write something about my father yet, especially after his death.

Those are the words of John Fante. I remember now the same behaviour of my gaze, the same growing feelings culminating to a moment of tacit battle.

"I will look at my father over the rim of my wine glass. I will see myself. I will know again the streak of cruelty and treachery within me by looking at my father. I will look at the hands of my father, and a turning and a grinding will go on within me, for my father still has the seeds of greatness in him, but they have been choked by the treachery and cruelty that I know - always too late - crouch in me. My father will catch the feeling in me, and in his eyes it will come out for me to look upon, and he will see the same lurking in my eyes, and we will not have strong enough chins to glare at each other, and let those two pairs of eyes collide, and kill that lurking which lies in both our eyes". (quote from the short story: Home sweet home)

Friday, January 16, 2009

Dal macellaio.

Entro. C'è fila. Mi siedo. Aspetto, con calma, il mio turno.
Un tozzo rosso sangue passa dalla mano sinistra alla destra, si poggia molle sull'acciaio adattandosi, nella parte inferiore, al ripiano del macchinario sul quale il macellaio sta ritagliandogli un posto di riguardo. “È il più bel pezzo che ho”. Nel frattempo la parte superiore del filetto ha ripreso la forma di quando è poggiata in bella vista sotto i nostri occhi, dietro il vetro del banco. Cosciente della sua magia, il macellaio ci nasconde il pezzo intero per farne uscire, all'unisono con un rumore di lame meccaniche (evidentemente nascoste, da prestigiatore), trance dallo spessore uguale e dalla nervatura diversa, una di seguito all'altra. Con soddisfazione, poi, il filetto e il suo faccendiere vanno a poggiarsi l'uno sul vassoio di plastica nel banco, l'altro sul vimini della sedia nella cassa. L'uno è visibilmente diminuito nel volume, ma conserva ancora, e questo fino all'ultima fetta, la sua rossa fierezza; l'altro è ugualmente fiero del suo lavoro, nel mentre dello scontrino discorre bonariamente di moglie e figli, logorio non manifesto di una giornata iniziata presto.

L'esatto contrario sono io sulla sedia, e lo sono le mie giornate. Più mi affatico nei pensieri, più l'oggetto cresce, a volte varia un poco, altre volte muta imperscrutabilmente. E domani non ne sarà ordinato uno uguale. E solo perché domani, dopo averli ispezionati, maniés, ritornino l'indomani al loro stato di splendore: interi, posti sopra la mia scrivania, attorno a me durante la mia passeggiata, in equilibrio sul manubrio della mia bicicletta, persino infilati nel vuoto cilindro carta igienica. Il corso del pensiero richiede connessioni impreviste, visto che non è affatto il mio pensiero che è in gioco, né un oggetto, ma me stesso. Afferrarmi diventa un problema, li ritorco conto, i pensieri si svuotano, cerco invano fuori da me, un caos di pulsioni prende il sopravvento della situazione e tutto salta in aria.

Vorrei a volte, ma non potrei... come fa il macellaio quando, per richiamare l'attenzione della sua magia dei bambini distratti, offrire alla vista il suo taglio perfetto.

Tuesday, January 13, 2009

Al di là della "morosité".

Molto spesso non vedo l'ora di uscire, fisicamente, dal mio pezzo di mondo. Per quanto le intraprendenze del “lavoro” portino a spostarmi, non c'è comunque una baita che mi soddisfi, un posto caldo in cui fermarmi per prendere una sosta e magari, seduto su una sedia piccola e scomoda, allungare le gambe stanche sotto il tavolo di una cena pronta.
Presentivo ciò praticamente da quando ho una coscienza abbastanza articolata da poter capire che qualcosa intorno al mio corpo esiste e sarà per sempre diverso da me. Pensavo, un tempo, che bastasse muoversi, che le esperienze erano una brocca che riempiva la mia tazza col latte di una nuova mattina.
Mi sbagliavo, visto che, se ho ottenuto qualcosa, quello che trovo ora non serve neanche a rispondere alle domande che ricordo vagamente parte de quello stesso passato – anche se forse a quel tempo mi sembrava avessero risposte, da qualche parte, pur non possedendole: bastava cercarle, ricercarle, fare delle ricerche, fare ricerca.
Viaggiare era aprire la finestra in una stanza otturata dall'aria viziata.
Ora sento che tira una corrente fresca tra quattro pareti squallide di un ostello del Bronx d'Italia che è Mestre; dopo qualche ora passata a rimuginare i malori, sento schiudere gli alveoli polmonari, ossigeno atto a depurare il mio sangue denso.
Ora è l'aria di fuori a essere stantia.

Tuesday, January 06, 2009

"Saraband" di I. Bergman

Anche nell'ultimo film di Ingmar Bergman la tensione dei dialoghi è creata dalle incrinature psicologiche determinanti un'esistenza: nel sogno che nasconde quelle sbagliate, nel rimpianto di quelle che sembravano giuste. Ogni personaggio, va da sé, ha uno spessore, un contrasto non sanato - né soprattutto sanabile. Con ogni suo gesto ne seppellisce mille altri, eccetto forse Marianne, raminga nell'anima, che si astiene da ogni giudizio, e che rappresenta, in una thlipsis (il cor inquietus) al femminile (l'ascolto, il gesto gratuito), la cerniera delle solitudini dell'insieme dei personaggi, in quanto, forse, il personaggio più solo, che viene dalla città, qui altra e irrappresentabile, forse migliore o forse solo asettico, o magari parallelo alle solitudini sperdute nei boschi svedesi.

Non la decifrazione analitica ma il rilancio verso un presente gravido di possibilità: questa la psicologia, questo il senso della pietà per l'uomo, per i suoi errori, che ha luogo nell'evocazione con i ricordi e continua con la coscienza dell'impossibilità di uscire dall'esistenza – concepita come impasse, come errore, ma allo stesso tempo come una marcia di compromessi in cui solo l'affetto, dal momento in cui tutto è sbagliato, può scompaginare, in momenti teneri, il corso del destino.
La lezione che potrebbe trarne un cineasta potrebbe essere: plot semplice, bellezza di scrittura, tensione esistenziale di pochi personaggi, pochi luoghi, scelte che sigillano un'esistenza, senso di essa nei gesti e che emersione di essa nei dialoghi (e nella gestualità di essa). Sembrano escamotages teatrali, ma in realtà i cambi di riprese sono dei tuffi nei tratti dei personaggi, e evidenziatori del risalto dei gesti.

Marianne non ha mai risposte al suo essere lì (“sentivo che mi chiamavi” dice al marito nel finale, “ma io non ti ho chiamato”, le risponde lui). È lì come se fosse una necessità, un bisogno, ma non rispetto alla sua personalità, rispetto a un senso da costruire. Il segreto è che il suo porsi rispetto agli altri non è mai autoritario o personale, è fatto di una saggezza che viene dalla pietà verso Johan et la famiglia – una pietà che non è commiserazione, ma fiducia, la quale è il credo stesso di Bergman verso il mondo di coppia e la vecchiaia:

"Al di là di ogni cosa esiste la pietà, e la comprensione. Forse è ancora possibile curare le nostre ferite, vivere ciò che resta e volerci bene. Io non farò più niente che possa cancellarti dalla mia vita... ho ancora fiducia" (da I. Bergman, Sinfonia d'autunno utlima scena).

La sexualité et l'amour à l'époque de Houellebecq.

« De nature transitoire, je m'étais attaché à une chose transitoire, conformément à ma nature – tout cela n'appelait aucun commentaire particulier ». (M. Houellebecq, Plateforme, p. 333).

Au lecteur capable d'en dévorer les pages, de finir au bout de quelques heures Plateforme, roman de Houllebecq, j'aurais envie de lui suggérer que la raison d'une telle vitesse de lecture n'est pas seulement due à l'attachement que donne la récurrente méticulosité de descriptions des actes sexuelles. Il doit y avoir une participation à l'écriture dans l'acte de lecture, une sorte d'écriture dans l'esprit. La participation à l'écriture de Houllebecq s'accellère par la sexualité. Mais si le lecteur croit qu'il s'agit là d'une part maudite, elle est en réalité légère, répandue, et peut-être pas aussi maudite que cela.

 La matière des romans de Houllebecq, à l'exception de La possibilité d'une île, qui propose une mise en page et l'entrée en jeu de la science fiction et aussi de Les particules élémentaires, à cause d'un caractère plus théorique, suite à la découverte de Michel Djerzinski sur l'origine du lien entre les particules), est à phases alternes. C'est un signe stylistique fort de ses romans, qui marque cependant sa platitude. Des moments (très ou trop longs) de vrai bavardage entre les personnages (des discussions sur le travail concernant le travail même, souvent complètement décousues de l'histoire principale ou d'un parcours de formation des personnages) laissent la place à une écriture absolument nihiliste dans son fond, privée de toute mise en valeur d'aspect du réel – au sens fort d'un surgissement quelconque de valeurs morales ou existentielles – Houllebecq transporte ses lecteurs dans une sexualité effrénée  non pas au sens outrancier à la Sade (lié à la mise en abîme du désir), mais au sens d'un homme quadragénaire du troisième millénaire, encore amoureux de l'amour. L'actualité romantique élevé au rang du sexe, on pourrait dire. Le sexe est en partie alors le fil rouge que anime le livre, dans ses caractères les plus « pornement » matérielles. Voici un exemple:

« Elle m'attira vers elle et chuchota à mon oreille: « Viens... ». A ce moment, je sentis les parois de sa chatte qui se refermaient sur mon sexe. J'ai eu l'impression de m'évanouir dans l'espace, seul mon sexe était vivant, parcouru par une ombre de plaisir incroyablement violente. J'éjaculais longuement, à plusieurs reprises; tout à fait à la fin, je me rendis compte que je hurlais. J'aurais pu mourir pour un moment comme ça ».

Mais la matérialité n'est qu'apparente. Le sexe est fonction de l'amour chez Houllebecq. De manière analogue à l’héroïsme chevaleresque dans le Moyen-Age. La sexualité, recherché un travers de l'amour (Plateforme) ou du besoin d'amour (La Possibilité d'une île)  ou de l'attente de l'amour (Les Particules élémentaires), n'a aucune valeur en soi. Houellebecq voit juste, dans l'époque du "nihilisme" des masses, ce que ses lecteurs ne peuvent pas voir. C'est pour cela que son écriture de la platitude est en réalité une écriture du cœur de notre temps, au cœur de ses lecteurs.
Le pressentiment, c'est donc que nous méritons cet auteur, qui ne dépassera jamais cette époque. Il l'incarne comme le nec plus ultra de cette époque, son représentant suprême, on pourrait dire en exagérant: son prophète. La parole du prophète qui s'empare de sa réception Et cela non pas à cause d'une quelconque médiocrité de son oeuvre, qui meme a été évoquée par des critiques. C'est parce que la pornographie de ses images ne fait que réaffirmer, en la véhiculant, la vision de l'amour telle que la tradition nous l'a transmise: comme unicité de son objet et comme fil tendu au-delà du rapport sexuel. Et cet objet du désir (Valérie, Isabelle), matériellement saisi sans altérité sinon dans celle qui va se mettre en évidence dans le rapport sexuel, va etre perdu de manière tragique, ou interrompu per causa di forza maggiore. Si les rapports échouent, ce n'est que par des raisons de finitude ou de circonstance.

« Valérie [...] faisait partie de ces êtres qui sont capables de dédier leur vie au bonheur de quelqu'un, d'en faire très directement leur but. Ce phénomène est un mystère. En lui résident le bonheur, la simplicité et la joie » (Plateforme, p. 349)

Sappho

Sappho
"Morremo. Il velo indegno a terra sparto,/ rifuggirá l’ignudo animo a Dite, / e il crudo fallo emenderá del cieco / dispensator de’ casi. E tu, cui lungo / amore indarno, e lunga fede, / e vano d’implacato desio furor mi strinse,/ vivi felice, se felice in terra / visse nato mortal" (G. Leopardi, Ultimo Canto di Saffo)

Sehnsucht

Sehnsucht
Berlinale 2006