Monday, February 20, 2012

Mente e corpo nella pratica del Breve-Intenso-Infrequente-Organizzato

Appartengo ad una generazione e ad un ceto sociale che ha avuto l'opportunità di vivere agiatamente gli anni di formazione. Questo significa che ha potuto godere di un'infanzia relativamente tranquilla, e che ha potuto coltivare diverse passioni a fianco del percorso scolastico, senza ricchezza ma senza privazioni.

Una di quella che non mi ha mai abbandonato è stata la pratica sportiva. Non mi è mai appartenuto, in fondo, l'industria del divertimento e neanche gli stati di alterazione mentale. Pur non essendo affatto dotato - anzi riuscendo male in tutti gli sport - continuo a sforzare il mio corpo nel diletto dell'esaurimento muscolare.

Perse le velleità agonistiche abbastanza precocemente, col tempo, infatti, mi sono sentito in un certo modo sempre più preso nell'attività fisica, vero pendant di quel percorso di formazione culturale. Ma la cura del corpo ha seguito una direzione meno lineare, incredibilmente più lunga e più tortuosa (sebbene ormai strutturalmente più conciliante e "definitiva", impossibile nell'evoluzione infinita e continuamente ripresa cultura), di cui vorrei evocare, più che i fatti, il pensiero stesso.

Difatti, per chi svolge un "lavoro" essenzialmente di rimozione delle proprie nevrosi nella parola scritta (nel sentimento della propria incapacità e del debito verso la società), l'unico rimedio è spesso l'uscita serale, notturna, con tutto ciò che vi è connesso. Io non credo di essere fatto per questo. La mia è la vita dello sportivo di alto livello senza esserlo.

E tuttavia, nei momenti di maggiore angoscia, quando lo studio mi trascinava nel bisogno di trovarmi indietro, lo sport ha assunto le funzioni del capriccio irresponsabile, d'una dipendenza positiva e maniacale. Lo sport era insomma la valvola di sfogo regolata di una sregolatezza dello spirito.

Fin quando, deluso dai risultati nell'estetica e nelle prestazioni, iniziai a chiedermi perché, proprio nei momenti in cui facevo più sport per evitare il confronto con me stesso, nei momenti in cui esso prendeva per di più i miei pensieri, il mio corpo regrediva, sembrava somatizzare le mie paure.

Fu la scienza dello sport a insegnarmi, e nella particolare forma dei BII e in particolare del BIIO, a come uscirne. Capii che la forma dell'allenamento doveva essere molto breve, intensissima e organizzata: che l'equilibrio di testosterone e cortisolo è più importante della vascolarizzazione; che il corpo cresce quando è a riposo. La presa di coscienza del mio ectomorfismo estremo fu un vantaggio nell'applicazione indomita e senza sbavature di tale metodo, che, nel momento in cui mi liberava dall'ossessione più o meno patente dell'estetica (l'impossibilità di allenarsi diversamente corrispondeva quindi alla serena accettazione del mio fisico nella propensione a piccoli ma continui miglioramenti), mi gettava ancor più nell'estremo rigore e nella conoscenza della correttezza di esecuzione e nei fondamentali. Non ho più preteso altro da me che la progressione lenta e continua, e una vita più diversa, e più serena, liberandomi dall'assuefazione delle endorfine naturali dello sport a capofitto.

Esso mi fece anche uscire dalla dipendenza dello sport stesso. Mike Mentzer mi ha insegnato, nonostante evidenti limiti nella sua concezione "filosofica" (il suo oggettivismo, mutuato da Ayn Rand, sarebbe in realtà errato se non inutile a spiegare i rapporti del proprio corpo con i propri meccanismi fisiologici, essendo collegato strettamente alla mente), che l'intensità è tutto, e che la razionalizzazione dello sforzo permette di sentire l'intensità stessa perché applicata in pochi secondi e quando il sistema neuro-muscolare è sufficientemente ricettivo a sentire l'ultima ripetizione, l'unica per cui allenarsi. I BII sono ciò che distingue una cultura della palestra dal culto del palestrato. Non mi ha fatto abbandonare il rigore nei pasti; ma l'atipicità e anche la poca flessibilità sono sfumate, perché ora ho più tempo per pensare e per vedere gente a cui tengo: ed è anzi proprio in questi momenti che i muscoli si strutturano, recuperano attivamente: nei momenti in cui approfitto d'una ritrovata socialità il mio corpo sta rispondendo esattamente allo stimolo che ho effettuato quando ero solo con dei pezzi di ferro; nei momenti in cui sfoglio le pesanti carte il mio corpo si assesta per rendere il peso sollevato il giorno precedente.


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Sappho

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"Morremo. Il velo indegno a terra sparto,/ rifuggirá l’ignudo animo a Dite, / e il crudo fallo emenderá del cieco / dispensator de’ casi. E tu, cui lungo / amore indarno, e lunga fede, / e vano d’implacato desio furor mi strinse,/ vivi felice, se felice in terra / visse nato mortal" (G. Leopardi, Ultimo Canto di Saffo)

Sehnsucht

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Berlinale 2006