Monday, November 11, 2013

L'utilizzo dell'opposizione "teorico / pratico" come ideologia di potere


Köln, 1945




  • Le idee degli economisti e dei filosofi politici, tanto quelle giuste quanto quelle sbagliate, sono più potenti di quanto comunemente si creda. In realtà il mondo è governato da poco altro. Gli uomini pratici, che si ritengono completamente liberi da ogni influenza intellettuale, sono generalmente schiavi di qualche economista defunto. Pazzi al potere, i quali odono voci nell'aria, distillano le loro frenesie da qualche scribacchino accademico di pochi anni addietro. (J. M. Keynes)


  • Il teorico non è (il) pratico.
    Con questa evidenza, si vuol suggerire l'opposizione che, stringendosi progressivamente, diramerà il percorso delle righe seguenti.
    L'origine aneddotica di questo testo è stata una riunione con taluni imprenditori, seduti a discorrere dietro lo stesso tavolo dietro cui vi era anche la mia sedia, su cui ero ovviamente poggiato anch'io. Più di uno di loro, per una sorta di istinto sincronizzatore, ha parlato di "vera vita", riguardante la realizzazione di una determinata attività. La nozione di "vera vita" mi ha illuminato. Non solo perché, naturalmente, nella sua falsa semplicità, non ha senso (ed io, per natura, mi interesserei immediatamente al senso sprigionato dai suoi opposti di "falsa vita", oppure, meglio, una "vera morte"); ma perché mi è parso che in tale crogiolo si annidino delle ideologie di svalutazione di ciò che "non è vero", "non vive". In fondo, al suo livello elementare, si voleva dire (per salvare "la vera vita" dal suo ridicolo, e reintrodurla in un contesto), che siamo in un quadro reale, operativo, "pratico" in fondo, per utilizzare un termine semplice. A ciò dunque, per render credibile ciò che potrebbe sembrare del senso comune, si può opporre il contrario naturale, il teorico.
    Ma il senso comune non è, si spera e si teme al contempo, se con esso si intende una razionalità istintiva dell'uomo.
    Il teorico non è il pratico dunque, e questa è un'ideologia di cui non è facile tracciare la genealogia, e che nondimeno pervade i discorsi ed è foriero di una certa retorica, essa stessa diversamente pratica.
    Si potrebbe pensare che essa provenga da una logica capitalistica, o meglio, dato il fattore di preminenza al pratico, mercantilistica. Il pratico osserva un attaccamento al risultato immediato, che permette a coloro che ne propugnano a tratti la sua priorità, l'idea che essi siano i portatori della storia materiale. Il "nuovo spirito del capitalismo" si è, a certi livelli, alzato invece a talune nozioni teoriche ("progetto" per esempio), oltre alle complesse formalizzazioni degli arnesi di analisi e di performance economiche.
    Una tale lettura dicotomica si trova, oltre alle derive mercantilistiche del capitalismo, similmente anche nel marxismo ortodosso. La tendenza è quella di mettere in risalto il reale, la dialettica materiale della storia, contro l'apparato teorico del capitalismo, fondate sulla riduzione del valore d'uso al valore di scambio, del lavoro vivo al lavoro salariato. Nel marxismo classico, il socialismo diventerà realtà perché emerge da una dialettica già instaurata nella storia. Il teorico è in questo caso l'astrazione dell'economia capitalistica come dell'hegeliansimo, allorché nel mercantilismo, il teorico è l'astrazione intellettuale (una chiara ridondanza), il ritiro dalla dialettica della storia, su cui aver la parvenza di interagire tramite concetti, formule, nozioni, che tendono a non produrre scambi materiali.
    In ambedue i casi, con profondità speculative diverse e con ambizioni diverse, vi è un medesimo disprezzo per l'altro da ciò che pare reale, una simile pretesa a ridurre il teorico all'astrazione, un sottile analogo postulato riguardante la povera fine che toccherà all'apprensione...
    Interessa ora mettere in risalto il valore della vittoria del pratico (reale), nei giudizi dell'ideologia attuale, che potremmo definire molto sommariamente post-capitalistica, identificando con essa una cronologia nuova al capitalismo.
    Ci può essere anzitutto una forma di rivalsa populistica verso coloro che manipolino i concetti, le nozioni, le parole in fondo poco comprensibili. Poiché spesso tali persone non facciano alcunché di pratico, i pratici, i reali, si sentono in grado di contestare questo "sollevamento" da compiti operazionali. E spesso tali compiti essendo ingrati, o per lo meno percepiti in qualche modo come tali, ma pur tuttavia anche capaci di far sentire coloro che li effettuano soddisfatti, dando risultati tangibili, quantificabili e dunque migliorabili, si ha tendenza a calcare il pratico come in effetti ciò che trascina il mondo, ciò che ne detta le condizioni materiali - e infine, poiché senza la materia non vi è consumo di beni (derrate alimentari in primis), e quindi nessuna perseveranza delle condizione di sostentamento durevole per l'umanità, ai ritmi odierni e non solo.
    Ma appunto, cos'è allora il pratico, a cui dobbiamo l'esistenza stessa delle condizioni di una buona teoria, e soprattutto a cui ogni teorico dovrebbe gratitudine e riconoscenza più che agli stessi padri spirituali?
    Si potrebbe allora mettere in discussione l'appartenenza dei due termini ad uno stesso rango - e tuttavia, il pratico e il teorico utilizzato dall'ideologia dominante hanno una caratteristica simile: "non hanno fine", e cioè la loro definizione non trova riposo in elementi, in contesti, in riferimenti, neppure in un'azione (πρᾶγμα), ma si nutre dell'opposizione dell'altro; inoltre, la loro definizione emerge esclusivamente da coloro che si rivendicano esclusivamente pratici, e che spesso tendono a non addomesticarsi a teorie. I teorici sono spesso ben disposti a concedere per lo meno dei coefficienti di praticità delle loro teorie, quand'anche non lo rivendicano in totalità intenzionalmente; l'inverso non è vero.
    La relazione teorico-pratico siffatta è dunque una nozione dettata dal potere, in cui mal si cela una rivalsa secolare, per non dire una rivincita di condizione sociale.
    Ed è questo il problema che affligge il pratico spezzato dal teorico - la mancanza di auto-riflessione: nel pratico "c'è sempre un più pratico", nella tavola attorno a cui era seduto, si poteva sempre rimproverare a coloro che parlavano di "vera vita" di star solo inneggiando alla "vera vita"; e cosi', coloro che coltivano bietole potrebbero ritrovarsi, loro persino e proprio nel momento in cui agiscono, ad essere tacciati di poco pratici qualora non stiano proprio in quel momento ammassando i loro frutti, o seminando. Il momento del pratico ha per eccellenza un ruolo egemonico nella dittatura dell'ideologia sul teorico, e cambia in funzione dell'ultimo "deliverable" considerato dall'interlocutore: questo è il paradosso del pratico, quello di una rivendicazione al gesto muto, a cui ovviamente non c'è parola o indicizzazione per porre fine, non c'è una teoria che sia capace di demarcare il pratico dalla sua infinità di praticità.
    (Si potrebbe generalmente opporre ad un teorico "teorico" la paralisi all'azione, sotto la forma del disprezzo)
    Nel paradosso emerge l'unico grado di verità che emerge dall'utilizzo dell'opposizione: il pratico è esso stesso un concetto teorico; ma il concetto teorico del pratico, osservato dall'ambito pratico (già dunque teorizzato), assegna la vittoria della dicotomia al pratico, il quale vincerà sempre, perché il pratico vede teoricamente il teorico come lontano dal pratico.
    Il pratico della vaga ideologia post-capitalistica si definisce come segue: è tutto quel che non trova fine, dal punto di vista del tangibile cristallizzato materialmente, meglio se all'interno di un meccanismo quantificabile e persino con una buona base di risvolti sociali consolidati e tramandati.
    Il teorico della vaga ideologia post-capitalistica, che propugna per il pratico, è invece tutto quel che si situa al di fuori del focus pratico dell'interlocutore, e che può facilmente essere isolato ed irriso, perché privo di potere.
    La vera vita è sempre altrove.



    Sappho

    Sappho
    "Morremo. Il velo indegno a terra sparto,/ rifuggirá l’ignudo animo a Dite, / e il crudo fallo emenderá del cieco / dispensator de’ casi. E tu, cui lungo / amore indarno, e lunga fede, / e vano d’implacato desio furor mi strinse,/ vivi felice, se felice in terra / visse nato mortal" (G. Leopardi, Ultimo Canto di Saffo)

    Sehnsucht

    Sehnsucht
    Berlinale 2006