
Con tutte le persone perdute tra i fogli, in questa biblioteca si respira una rilassatezza particolare, certamente una non tenuta da un lettore abituale delle opere di Rilke. Se non c'è poesia, ci sono però molti titoli allusivi, riguardanti ad esempio la "Conoscenze creatrice" oppure le "ricerche per lo sviluppo della risorsa umana". Ma in ognuno di questi si manifesta, piuttosto che non si nasconde, una strategia di controllo di ciò che alla fine sarà il prodotto finale, ciò che si renderà disponibile all'uso dei consumatori. Il prodotto è rassurant, non è mai l' "inizio dell'orribile", e cioè "il bello", l'angelo che custodisce il fluire del fiume sui cui due bordi si specchiano i vivi e i morti. La poesia di Rilke, nell'economia spesso angusta del suo metro, non è trasformabile in un programma di vendita, per quanto possa sembrare qualitativo. Se essa non sarà mai un prodotto, è perché le sue ellissi non passeranno al vaglio di una pianificazione, ma saranno necessarie a sviluppare un sistema di alterità semantiche in cui il lettore è invitato meno a prendere le misure che a disperdersi.
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Nonostante stia passando, surrettiziamente forse, dal rinnovamento dell'esistenza all'innovazione della tecnologia, dalla teoria del bisogno alla teoria dell'esigenza (la creazione del bisogno), quello di "prodotto" è il termine ideologico più ostico per me oggi. Si tratta d'un pensiero poco raffinato, riconducente alla materialità, uso e funzionalità dell'oggetto (proprio del pensiero economico e ingegneristico). Se si vuol credere al "materialismo", come si sente dire, della nostra epoca, è perché si pensa al frutto del lavoro come un "prodotto", che ordina persino i prodotti dell'intelletto o dell'emozione a questa realtà fisica e tangibile (e le fasi intermedie di realizzazione d'un progetto a delle "consegne"). Quello di "prodotto" implica un brutale contro-capovolgimento, il ritorno ad un pensiero orientato a partire non solo della tangibilità d'un oggetto che determina la sua creazione, dall'aderenza al particolare, a tal prodotto, marchiato e glorioso di essere disponibile e desiderabile per ogni acquirente reale e, come voleva il taylor-fordismo, potenziale.
Oltre ad essere per me una deterritorializzazione dolorosa (potrei persino dire che è la più eccessiva, perché forse è quella che mi costringe a pensarla, almeno oggi, nel quadro irrisolto del giusto o dello sbagliato, o persino una deterritorializzazione che è forse sempre al di qua, sempre disponibile, sempre presente, sempre uguale a sé), esso ordina il lavoro anche la maggior parte dalle forze intellettuali nell'economia. La nozione di prodotto è prodotta come un sottoprodotto del prodotto: l'ordinamento per il fine della struttura produttiva e della massimalizzazione dei guadagni si basa sull'offerta di prodotti, che creano (secondo una legge) ex-nihilo una domanda dei consumatori, che si tratta di trasformare in rentable. L'intera specializzazione della società, e qui non sono esenti quelle classi astratte o sociali quali l'insegnamento, offre ad una domanda soggiacente un prodotto, che ne determina il prezzo, il valore e la quantità, il cui tentativo è di aumentare la domanda e di ridurre l'offerta al fine da ottimizzarne i costi.
Quando ho a che fare col prodotto, per quanto esso sia innovativo, due sono le cose che davvero mi riescono difficili da seguire, e forse parzialmente impossibili da eseguire: innanzitutto la sua particolarità, questo riflesso d'un aspetto limitatissimo della società (che pure ha un senso, e che contribuisce al benessere della società proprio in ragione della complessità e diversità del prodotto stesso), secondariamente la sua auto-referenza, e cioè il condensare, nella sua materialità (fosse essa anche un'entità più astratta come un sito che raccoglie le idee degli internauti), il fatto che, garantendo una messa a punto ingegneristica, gestionale e persino creativa, ci si raccoglie tutta intorno ad essa, al suo essere un prodotto individuabile e chiuso nei limiti della proprietà (industriale ed intellettuale). La particolarità e l'auto-referenzialità, oltre che produrre l'Angelo Nuovo del progresso (W. Benjamin), e letteralmente far funzionare il mondo almeno fino ad una catastrofe, preparano il prodotto alla vendita, che garantisce la sopravvivenza dei venditori rendendoli essi stessi compratori d'altri prodotti. Dietro ogni prodotto c'è la sussistenza e la ricchezza, la quale è la sussistenza dei propri mezzi di sostentamento.
Da qui il problema di cernere questo spaesamento, questa sofferenza nel linguaggio, il dolore della deterritorializzazione, che è visibile nei passaggi che l'economia effettua tra "gestire", poi "to manage", e finalmente "manipolare" (anticamera di "occultare"). In questa situazione tutto sommato comprensibile, con pochi equivoci, è forse doveroso, o anche solo possibile, pensare di esprimersi - è possibile fare questo tragitto, approdare in un porto insicuro proprio per la sua eccessiva sicurezza? L'alterità economico-gestionale, che pure è altra rispetto a ciò che conosco, con che criteri mi sembra però non-altra, ma già conosciuta fin nel profondo della sua essenza, complessificazione di dinamiche inevitabili ma che ho sempre tentato di superare? Ma esiste allora un punto di rottura, oppure, in fondo non può esistere una rottura nella storia, ché essa altrimenti sarebbe incomprensibile?
E inoltre: è possibile pensare un'alterità non estetica, non trasfigurata, non pensante, ma un'alterità elaborata, "maneggiata", o in questo caso si tratta solo della semplice-presenza, della disponibilità, come la nozione di prodotto sembra impormi? Oppure la gestione delle fasi del prodotto, permettendomi di essere utile, sentirmi utile, e in qualche modo agire per altrui in maniera modesta e limitatissima, proprio nell'ambito dell'utile restando in una dinamica sociale fruttuosa, potrà finalmente rischiarare i bui della mia vita, concedendomi sprazzi chiarissimi da percorrere?
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Nel frattempo, è sera, e sono molto stanco dopo un'esercitazione di "simulazione di produzione". In questa mezz'ora ho solo sfogliato le poesie di Rilke, ne ho letto solo dei brani con la giusta attenzione, poi ho scritto queste righe, mentre anche gli altri utenti della Biblioteca, come me, vanno e vengono, aprendo libri affiancati da portatili, e poi richiudendo entrambi al momento di volgere via. Confido nel week-end, nel tempo in cui dovrò ora mantenermi saldamente presso di me, affinché i dubbi possano inspessirsi, o srotolarsi naturalmente.