Wednesday, November 17, 2010

Inghiottito (la poesia letta).


Il computer è dapprincipio uno “schermo supportato”, un luogo virtuale, su cui ascrivere dei dati. Tale, per lo meno, rappresenta per me, e tale ne è il lascito acquisitivo nella storia del lavoro. La sua “virtualità” risiede nel dare una dimensione provvisoria alla messa a punto di un documento o di un elaborato (calcolo, ecc.). La dimensione ludica o grafica è poi possibile grazie all'inconsistenza materiale, alla mancanza di spazio occupato, forse sarebbe meglio dire di suolo occupato, da parte della virtualità in atto sullo schermo, ponendo una modificabilità di principio consistente nella cancellabilità del dato e nella traccia della cancellazione: banalmente, un documento di testo è sempre una bella copia, ed è anche possibile ricostruire le tracce della cancellazione senza che queste siano cancellazioni al senso di rayures.

Tuttavia, la virtualità del computer comporta soprattutto, nell'allargamento della virtualità dell'oggi, attraverso la connessione, ad una poliedria della fruizione. Il collegamento alla rete è però “reale”, e anche gli algoritmi sullo schermo continuano ad avere una realtà che è quella della connessione stessa. La casella mail, i video caricati da altri sui tubi, diventa una realtà mediata dal virtuale come “luogo”, e l'esperienza subentra in passività, cosa già esperita, certo, con i primi videogiochi (programmi già formattati ad uso e consumo); ma, a differenza dello spazio ludico, qui si è nella logica del telecomando, potendo zappare tra enciclopedie, testi scientifici, quotidiani e canali video.

L'aspetto passivo non è ontologicamente più preponderante di quello attivo; sarebbe un errore separare i due in funzionalità. In questo istante mi trovo a scrivere su un blog, e altre persone si troveranno a fruirne.
Ma tutto ciò che è culturale (è retorica dirlo), è il benvenuto. Essere inghiottito da collegamenti reali di un mondo virtuale per quanto vi possa essere una moltiplicazione indefinita che punta a far sbocciare riflessioni nel fruitore a partire da un atto di creazione o informazione, è la manna del nostro tempo.

Eppure, la facilità del virtuale e la realtà del collegamento trasposto nel virtuale possono aumentare la larvizzazione del fruitore incanalandolo non già verso i soliti rischi reali (pedofilia, terrorismo, ecc.), che certo vi sono – ma questo appartiene alla specularità della Rete rispetto al mondo, anzi, alla sua identificazione di principio: c'è tanto nella Rete quanto c'è nel mondo.

Si tratta qui di un carattere proprio alla fruizione del mezzo “computer”, come multimedialità immediata. Il carattere proprio della virtualità dello schermo collegata alla realtà della Rete è ora il passaggio semplice (“a portata di mouse”, che sta appunto poggiato sulla scrivania e il cui movimento leggero è il cursore virtuale...) a tutte le tipologie di informazione, di divertimento, di comunicazione: in fondo, di “sfruttamento” forse delle distrazioni possibili. Il virtuale resta in quanto facilità di apertura e chiusura dei portali a questi mondi.

Uso senz'altro deleterio allorché la curiosità nel senso heideggeriano delle Neugier, del “nuovo”, s'attanaglia attorno ad una giornata senz'obblighi se non quelli che paion il più procrastinabili, questi cioè che offuscano il mio presente d'una caligine da cui non so davvero se rischiararla sia bene, o un male.


La mia disciplina, è allora la poesia letta. Dapprima ascoltata, se disponibile, da Gassman, Bene, Herlitzka... Dappoi rivissuta interiormente nel silenzio, e poi rifluita con le mia intonazione e la mia superflua voce.

Ridiscendo allora su queste pagine, dandomi finalmente un altro tempo, un'altra agitazione nell'uso. Lascio penetrarmi dentro un fluire ora inaccessibile ed ermetico
(“Tendono alla chiarità le cose oscure
si esauriscono i corpi in un fluire
di tinte: queste in musiche. Svanire
è dunque la ventura delle venture)

ora scarnamente eroico

(“Ci lasciaron talune una fragranza
così tenace che per una intera
notte avemmo nel cuore la primavera;
e tanto auliva la soligna stanza
che foresta d'april non più dolce era").

ora nei toni di un'intrepida inquietudine.

("Come sul capo al naufrago
l'onda s'avvolve e pesa,
l'onda su cui del misero,
alta pur dianzi e tesa,
scorrea la vista a scernere
prode remote invan;
tal su quell'alma il cumulo
delle memorie scese. ")


Tento allora di darmi una nuova cadenza, in quest'ormai contr'istintivo gusto della lentezza della parole, scomposta fino all'unità fonemica minima. Gli scorci rapidi alle pagine, l'occhiata facile alle pagine che si susseguono, nel web come nella saggistica, non hanno più corso.

E mi riappacifico con il virtuale in me, le radici dello scorrere sono tutte in una strofa compiuta, nel concentrato adagio di un messaggio che dovrò solo aspettare perché sappia maturarmi dentro.

Sappho

Sappho
"Morremo. Il velo indegno a terra sparto,/ rifuggirá l’ignudo animo a Dite, / e il crudo fallo emenderá del cieco / dispensator de’ casi. E tu, cui lungo / amore indarno, e lunga fede, / e vano d’implacato desio furor mi strinse,/ vivi felice, se felice in terra / visse nato mortal" (G. Leopardi, Ultimo Canto di Saffo)

Sehnsucht

Sehnsucht
Berlinale 2006